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Stavolta non ho preso il vecchio lapis. Volevo sentire bene le emozioni. La poesia di Damiani è fatta di questo: parole, sguardi, panorami, considerazioni che danno sensazioni, emozioni, gioie, dolori. È questo che si chiede a un poeta. Il lessico scelto è essenziale, scarno, in una sana ricerca dell’equilibrio. Tra i temi, la raccolta offre molto alla morte, un argomento che in Occidente non prevede questi canali tranquilli, pacificati. Invece Claudio Damiani ci crede nella morte, o non ci crede, crede che sia come una gatta da accarezzare e da tenere là vicino. Perché “Noi adesso siamo qui” ma domani potremmo essere da un’altra parte, magari in un luogo incantevole. Eros e thanatos, certo. L’amore che si respira ha la forza e l’inconsistenza piacevole dell’amore adolescenziale e bambino. Il poeta Damiani non è certo di quelli che si consumano con i fiori di piante ultra-rari di orchidee nere, ma è più poeta delle margherite e se nel titolo c’è un fico, moribondo, su una fortezza, è forse per Montale e i suoi limoni. Ma possiamo far dire ai poeti quello che non ci hanno palesemente detto? Sì. A queste poesie io faccio dire: “Che meraviglia”, e “Che pace!”. E avendo la fortuna di conoscere Claudio Damiani, anche se da poco tempo, riconduco quell’umiltà a quest’umiltà, quella serenità a questa serenità.

C’è molta terra e poca aria, poco fuoco, se posso dirlo, ma molta, beata, acqua salvatrice. Damiani vorrebbe suggerire all’umanità una strada per la pace. Se Papa Francesco leggesse certe liriche probabilmente le citerebbe a sua volta. Anche se la religiosità qui non è affatto quella stanca delle chiese, ma quella pura dello Spirito.

Questa è una poesia fatta di dialoghi. Niente Decadentismo: Rinascimento al quadrato. Capisco la duplice affermazione di Giovanni Mariotti, quando afferma che Damiani è sia poeta che Maestro. Magari non è neanche tra le sue intenzioni: non è che si diventi maestri per scelta, è una vocazione, come l’artista. Ecco, un maestro artista. Claudio Damiani butta dei semi come il fico che è sulla fortezza: per i posteri. Non lo dico io, ma la poesia centrale, quella sul fico e i suoi numerosi figli che moriranno tutti insieme, come “soldati intrappolati”. Ma gli uccelli spargeranno altri semi e così i fichi rimarranno, vedranno altre terre, rivivranno.

Questa poesia fa rivivere, e non c’è altro da dire.

Ornella Spagnulo